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In tanti identificano la corrente PANINARA come una sottocultura giovanile nata negli anni ottanta a Milano, per poi diffondersi prima nell’area metropolitana milanese e poi in tutta Italia e nel Canton Ticino.
Oggettivamente, si è trattato di una corrente totalmente diseducativa, priva di principi ed assolutamente vuota se non ispirata alla più totale discultura del consumismo.
Si caratterizzò per l’ossessione per l’abbigliamento griffato e l’adesione a uno stile di vita fondato sul consumo (SNOBBISMO) che coinvolse ogni aspetto della vita quotidiana.
Il fenomeno divenne presto noto in tutta Italia tanto da portare alla nascita di riviste, film e parodie televisive.
Nei primi anni ottanta le zone di Milano erano frequentate da gruppi molto chiusi di giovani con proprie regole e stili che ne determinavano l’appartenenza come i metallari o i dark.
All’interno di questo contesto si sviluppò una sottocultura giovanile, affine alle altre per la necessità di rimarcare l’appartenenza a uno specifico gruppo, costituito da giovani adolescenti o poco più grandi, che si riunivano presso i locali di zona piazza san Babila codificando un proprio lessico e un proprio stile basato sull’ostentazione di capi firmati molto costosi ma che era al contempo anche alla portata di tutti grazie a un mercato che, colta la nuova moda, incominciò a fornire a prezzi accessibili quanto necessario per uniformarsi al nuovo stile. Nelle paninoteche e nei fast food del centro di Milano prese forma un fenomeno di costume che dopo essersi diffuso in tutta Italia, si estese anche all’estero. I luoghi di ritrovo, paninoteche e fast food, dove potevano essere consumati pasti veloci ne determinarono quindi anche il nome.
Il fenomeno espressione dell’ondata di riflusso e disimpegno che seguiva il turbolento e politicizzato decennio precedente, rifiutava ogni forma di impegno sociale godendosi la vita senza troppe preoccupazioni conformandosi ai modelli del cinema statunitense del periodo e ai consigli degli spot pubblicitari trasmessi dalle televisioni commerciali in ossequio all’edonismo reaganiano.
I nuovi valori che si affermavano erano:
- funzionare
- dimostrare di valere
- avere un corpo e una immagine perfetta
- essere alla moda
- fare carriera
I paninari non indossavano l’abbigliamento tipico degli yuppie americani.
I paninari indossavano i capi di abbigliamento tipici della classe operaia e contadina americana ma tutti capi rigorosamente di marca e molto costosi.
La controparte femminile del paninaro si chiama sfitinzia o squinzia che, secondo i dizionari è definibile come una ragazza smorfiosa, poco intelligente, civettuola, spesso patita della moda ma secondo l’accezione originale del 1986, scritta da Lina Sotis, la squinzia è «La categoria femminile più diffusa del momento. Hanno tutte un imprinting, quello televisivo degli show della seconda serata, vestiti, toni di voce, lunghezze, cortezze e tacco a spillo: nella squinzia tutto, tranne il cervello, è esagerato. La squinzia è quella che vorrebbe beccare di più e becca di meno, è l’eterna tacchinata e mai presa.».
Il fenomeno 🍔 PANINARO si diffuse rapidamente in tutta Italia grazie alla pubblicità trasmesse dalle nascenti televisioni commerciali che ne sfruttano il fenomeno amplificandone il messaggio e diffondendone lo stile.
A renderlo ulteriormente famoso contribuì anche un personaggio interpretato dall’attore Enzo Braschi che fornì alla nazione una versione stereotipata del paninaro in una fortunata trasmissione televisiva, Drive In, che ne contribuì a diffondere la moda codificandone a sua volta degli stilemi alla quale molti giovani di tutta Italia cercarono di uniformarsi.
Il successo fu tale che naquero anche riviste dedicate al fenomeno e indirizzate ai paninari come Il Paninaro, con una tiratura che raggiunse 100.000 copie mensili, alle quali seguirono Wild Boys, ispirata alla canzone omonima dei Duran Duran e cantata da Braschi nella sua parodia:
- Zippo Panino
- Il Cucador
oltre alle versioni al femminile come:
- Preppy
- Sfitty
Periodicamente i paninari tornano di moda… anche nelle sfilate!
Con i paninari originali degli anni ’80 naque anche il culto del logo in bella vista. Dopo gli anni del minimalismo periodicamente riemerge questo vezzo che piace di nuovo… recentemente lo confernano le maglie di Kenzo, Blumarine e Dolce e Gabbana per l’inverno 2018. Il prototipo dei giovani “firmati” esploso 30anni fa nella Milano da bere lanciò la moda pret-à-porter italiana nel mondo. Nel 1986 la canzone Paninaro del gruppo inglese Pet Shop Boys citava Armani, ma sono stati molti i riferimenti griffati: cinture El Charro, montoni Schott, bomber Avirex, piumini Monclair, zaini Invicta, stivali Timberland e le mitiche cartelle a fiorellini Naj-Oleari che tornano in vetrina ancora oggi. In questi giorni anche un altro capo iconico paninaro, la felpa Best Company, è di nuovo disponibile con le stesse grandi scritte di allora. «I loghi piacciono ancora» dice Raffaella Paganelli, responsabile dello studio di comunicazione Immagine 4 che ha curato il rilancio. «Se ieri erano uno status symbol, oggi sono un modo per condividere valori ed esperienze, come piace ai millennials».
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