📯 “L’oro di Napoli”?… no, “I clacson di Napoli”!

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 Napoli è mille colori:

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Storia, cultura ed arte, il Vesuvio, la pizza, la sfogliatella, Totò e rione Sanità, i 3 fratelli De Filippo, Sofia, San Gregorio Armeno ed i Presepi… Napoli è il Maschio Angioino, piazza del Plebiscito, Castel dell’Ovo, Pulcinella, i sotterranei, il limoncino e la pastiera, Luciano De Crescenzo, Pino Daniele, le De Sio, … ma un sacco di altre cose…
Oggi però chi visita Napoli e la “cammina” un po’ deve necessariamente riconoscere che Napoli è i 📯CLACSON! quelli delle automobili e degli scooter…
Quei suoni assordanti che penetrano nelle orecchie in continuazione ed ovunque…
Un malcostume inaccettabile, un utilizzo dello strombazzamento senza pari.
Tutti, dai giovani alle vecchie nonne motorizzate, hanno nel DNA l’esasperata necessità di suonare l’infernale clacson, in ogni momento e senza alcuna ragione.

Una palese forma di inciviltà,  così come lo sporco buttato e lasciato ovunque e non si intende quello non raccolto, bensì quello gettato e buttato dagli stessi abitanti (non i turisti, ma dai napoletani stessi):
– zero raccolta differenziata;
– nessuna pulizia da parte dei negozianti che sfruttano le aree pubbliche antistanti alle proprie attività commerciali o gli stessi venditori ambulanti;

Purtroppo, Napoli è anche questo, sono aspetti tutt’altro che onorevoli, che potranno essere risolti solo ed esclusivamente con l’educazione che la devono necessariamente acquisire i cittadini di Napoli.

  • Imparare che il clacson è un ausilio acustico per le sole emergenze!
  • Imparare che tenere pulita la propria città è un beneficio che torna indietro…
  • Imparare che indossare il casco, agganciare le cinture ed in generale rispettare il codice della strada è sinonimo di civiltà…

Un italiano proveniente dalla città di Bolzano (una città a caso, prima in classifica tra le città italiane in cui si vive meglio) non appena sceso nella stazione di Napoli ed approdato nella antistante piazza Garibaldi ha la duplice impressione di essere sceso da uno shuttle e finito in un altro pianeta… oppure crede di essere entrato in una macchina del tempo, ed essere tornato agli anni ’50, non appena incontra le postazioni improvvisate di quei ciarlatani che imbrogliano i passanti attraverso il giuoco delle tre carte o delle tre campanelle… il tutto ben farcito dalle loro clack che gli fanno da capannello!

Vero che è tutto folclore, ma con un limite ben preciso: il rispetto delle leggi vuol dire benessere per la comunità.

Per tutto il resto non deve cambiare nulla e di una virgola: la cortesia ed il calore,  il panni stesi, i vicoli con gli altarini ben curati ed i ceri sempre accesi, i profumi di cibo in preparazione dentro le case e nemmeno devono cambiare le case scarrupate o le urla ciarliere delle comari od i richiami dei venditori ambulanti…

Nulla di tutto questo deve cambiare!

Educazione civica non significa “perdita dell’identità” bensì, solamente acquisire la consapevolezza di quello che è il bene comune… da trasmettere ai figli ed alle nuove generazioni. Aumentare la sensibilità sociale, ove il tutto vuol dire partecipazione.

I napoletani non meritano di essere dimenticati in questo imprescindibile processo di civilizzazione, in cui ogni singolo deve essere chiamato per nome (il proprio) e rivestire un proprio ruolo cruciale, non solamente per sé stesso ma anche come educatore dei propri figli e delle nuove generazioni.

Parlando dei bambini si apre un altro interessante capitolo di questa policroma città, da una parte non pare essere ancora superato quello che veniva narrato nel bellissimo film di Lina Wertmuller intitolato “Io speriamo che me la cavo” e dall’altra si ritrovano generazioni di genitori più giovani totalmente incapaci ad educare la loro piccola prole, consentendole di potersi muovere nel disvalore più assoluto, accompagnato da quella che i nonni chiamavano maleducazione.

In questa città deve essere analfabeta solamente il cuore (Totò docet) ma non lo possono essere le menti.

Amare Napoli vuol dire questo!


VITTORIO SGARBI E IL CLACSON A NAPOLI

(video 📺)


Curiosità

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Quando nel 1992 Lina Wertmuller si recò a Napoli per iniziare le riprese del film “Io speriamo che me la cavo” venne avvicinata da alcuni personaggi vicini agli ambienti della malavita che le chiesero il 10% del budget del film per poter proseguire la realizzazione del film. La produzione non accettò il ricatto e quindi spostarono immediatamente il set da Napoli a Taranto che prestò i suoi vicoli scarrupati e storici in modo da farli passare per quelli di Napoli (altre riprese vennero fatte a Tivoli, San Giorgio a Cremano, Reggia di Caserta e Altamura).


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