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Nella storia del cinema 📽 ci sono numerosi film che vedono come protagonista assoluta l’automobile 🚗, sono film spesso composti da cast ed attori importanti che fanno quasi da corollario all’automobile stessa.
Le loro storie e l’intera trama del film non potrebbe esserci se non vi fosse lei: l’automobile!
Seguono alcuni dei film più significativi e non certo recenti in cui l’auto l’ha fatta da padrona…
- Una Rolls-Royce gialla
- L’automobile
- Attenti a quella pazza Rolls-Royce
- Il tassinaro
- A spasso con Daisy
- Herbie il maggiolino tutto matto
- La corsa più pazza d’America
- Gran Torino
- 5 poveri in automobile
- Il sorpasso
Una Rolls-Royce gialla |
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Titolo originale | The Yellow Rolls-Royce |
Lingua originale | inglese |
Paese di produzione | Regno Unito |
Anno | 1964 |
Durata | 122 min |
Rapporto | 2,35 : 1 |
Genere | drammatico |
Regia | Anthony Asquith |
Sceneggiatura | Terence Rattigan |
Produttore | Anatole de Grunwald |
Fotografia | Jack Hildyard |
Montaggio | Frank Clarke |
Musiche | Riz Ortolani |
Costumi | Anthony Mendleson |
Interpreti e personaggi | |
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Una Rolls-Royce gialla (The Yellow Rolls-Royce) è un film a episodi del 1964, diretto da Anthony Asquith, con Ingrid Bergman, Alain Delon, Shirley MacLaine e Omar Sharif.
Il film racconta la storia di dieci anni di vita di una Rolls-Royce. Acquistata dal marchese di Frinton come dono per la moglie Eloise, l’automobile, lo stesso giorno del regalo, servirà ad un furtivo incontro della donna con il suo giovane amante. Scoperti i due, il marchese si disfa della Rolls-Royce. Dopo qualche anno, ritroviamo l’automobile in Italia. Essa appartiene ad un gangster italoamericano il quale viaggia in compagnia di una amica che intende sposare. Durante un forzato ritorno del gangster in America, la ragazza intreccia un breve idillio con un giovane fotografo. Idillio che sarà costretta a troncare perchè l’innamorato non incorra nella vendetta del gangster. Durante la guerra l’automobile, ormai malandata, è acquistata a Trieste da una ricca americana che vuole recarsi in Jugoslavia, al tempo dell’invasione tedesca. L’intraprendente signora riesce a concludere felicemente il suo viaggio, che le ha dato modo di conoscere ed aiutare un simpatico partigiano jugoslavo di cui s’è innamorata. La Rolls-Royce finirà in America, come gradevole ricordo di tante avventure.
Episodio 1
L’aristocratico Lord Charles Frinton porta alla vittoria il suo purosangue nella celebre corsa ad Ascot ma, contemporaneamente, scopre il tradimento della moglie Eloise, consumato nella Rolls-Royce gialla, da lui prelevata in prova.
Episodio 2
Il gangster italo americano Paolo Maltese acquista la Rolls-Royce per visitare l’Italia in compagnia dell’amante Mae Jenkins ma, durante la sua assenza, dovuta ad un impegno di affari negli Stati Uniti, Mae inizia una relazione con Stefano, un giovane fotografo, che avrà tragiche conseguenze.
Episodio 3
Jugoslavia, 1941, durante l’invasione tedesca della Jugoslavia l’aristocratica Gerda Millett, americana conservatrice, vede requisita la Rolls-Royce da un partigiano, con il quale stringerà amicizia.
Anna, una ex prostituta che è considerata negli ambienti della dolce vita una vera istituzione, è in realtà una donna sola e malinconica. Per reagire decide di comprarsi un’automobile, convinta che questa le porterà benessere e indipendenza.
Ormai vicina alla vecchiaia, rimasta sola, decide di cambiare il suo status sociale.
Nell’Italia dei primissimi anni ’70 l’automobile era ancora uno status symbol e Anna Magnani, che aveva interpretato il ruolo di una prostituta per Pasolini nove anni prima (“Mamma Roma”), è l’interprete ideale per questa figura crepuscolare e malinconica.
“Ma qui siamo diventati tutti matti!”. Questa la battuta conclusiva de “L’automobile”.
La pronuncia, disperata, Anna Magnani perno, fulcro e anima di quest’opera, insieme ad una Fiat 850 spider gialla. Eppure oggi questa pellicola é quasi dimenticata, nonostante sia ancora tra i film che palesano meglio in che modo pervasivo l’automobile sia stata riflesso dell’Italia degli anni ’70. Perché allora considerazione sociale e posizionamento valoriale di tanti e per tanti era rappresentato dalla quattro ruote su cui si poteva viaggiare in rapporto alle proprie sostanze,
Anima della protagonista – Anna Mastronardi, in arte “Contessa”- l’immensa Magnani con quel suo volto che dice tutto, riempie, condensa, affascina. Anna è un’ex mondana, ormai d’età ma ancora fascinosa che vive sola in una pensioncina: ha vissuto fasti e nefasti della dolce vita andando su e giù per via Veneto, conosce ed è conosciuta da tutti, ma non ha amici salvo forse Giggetto, interpretato dal bravo Vittorio Caprioli che, appunto, le insegna a guidare.
Arriva la patente, infine. Ora si tratta di comprare un’automobile perché per Anna l’auto, l’averla, rappresenta anche lo strumento per un radicale riscatto, la possibilità, dice, “d’essere una donna uguale alle altre”.
Essendo sviluppato come commedia il film vira anche sul comico che, riguardo le battute trova la più divertente quando, dovendo assicurare l’850, il funzionario dell’agenzia le parla di assicurazione conto terzi e lei ribatte “Eh sì. La macchina ha tre posti: quindi conto terzi!”. Infine arriva l’850 spider. E’ gialla, il colore forse più “sparato” di quelli disponibili, impossibile da non notare. In breve Contessa diventa matta per la sua quattro ruote. A Giggetto dice “ Che te devo dì, io in macchina mi sento più bella…” e confida al portiere della sua pensione “ ormai è come avercè na fija”. E per questa figlia si attrezza di tutto il necessario per mantenerla perfetta e pulita: panno, piumino, tubo flessibile da attaccare ad una fontanella.
In quegli anni l’850 spider era un must. Costava 1.050 mila lire, cento in più della graziosa 850 coupè. Abbordabile se si confrontava il prezzo con le concorrenti di categoria dell’epoca. Mirafiori ebbe davvero un’ottima idea a proporre questa coppia alternativa alle versioni berlina dell’850. La spider era il risultato di un’intuizione di Bertone, che poi curò l’assemblaggio della prima serie, e della bravura di Giugiaro capace di condensare nella linea, soprattutto nel frontale, tratti del prototipo Testudo, studio stilistico del carrozziere del 1963. L’occhio della Fiat puntava all’estero per le vendite: e, infatti, lo spider con il coupè fu presentato al salone di Ginevra del marzo 1965. La produzione si protrasse sino al 1973 toccando circa le 133 mila unità. Bella cifra per il segmento delle “aperte” dell’epoca. Dal punto di vista della linea in otto anni poco fu mutato. Nella seconda serie del 1968, quella del film, i fari inclinati, coerenti con il disegno della carrozzeria, figli della Testudo, furono sostituiti da altri verticali inseriti in una scafalatura. La modifica, adottata anche per assolvere le esigenze del mercato americano, non stravolse la linea. Per la meccanica la prima serie era dotata del motore dell’850 berlina potenziato, la seconda di uno con cilindrata portata a 903 cc. Rimarchevole inoltre il fatto della dotazione di freni a disco anteriori.
Torniamo alla Contessa: l’abbiamo lasciata ad una fontanella. Lava la sua 850. Arriva una 1100 con a bordo una coppia. Pure loro son lì per un lavaggio. Anna si mette a consigliare come compiere l’operazione al meglio. Poi parte. Ha deciso di andare a Ostia, la meta balneare classica fuori porta del generone romano. Ovvio: trova una fila mostruosa. Ma, infine, giunge sul litorale. Lascia la sua”creatura” in un parcheggio a pagamento: ma prima la ricopre con un telo. Entra in un locale: si siede sola ad un tavolino, ordina da bere. Si guarda attorno. Punta l’attenzione su un bellone che si butta in piscina da un trampolino.
Il caso vuole che lo incontri poco dopo…
Il giovane, con un amico, riesce così a scroccare un passaggio da Anna per Roma. La donna è attratta dal ragazzo. Addirittura lo lascia guidare. E la guida di questo cialtrone da spiaggia ben presto si trasforma in una corsa pazza. Anna è terrorizzata: ma nulla può. Finisce come deve finire, con un incidente. L’850 è distrutta. Anna pur incolume si dispera. Ma non è ancora finita. Lo spider blocca il traffico. La turba romana che deve andare ad Ostia” con l’auto per il rito della “magnata e der bagno” si agita, impreca, anzi, come si dice a Roma, “strilla” che, al pari, in romanesco significa gridare e sgridare. Nessuno bada ad Anna che tenta di difendersi. Non una parola di comprensione e solidarietà per una persona ancora scioccata da un incidente. Arriva la polizia stradale. Lo sciagurato guidatore e l’amico vengono portati via. Anna rimane sola: inferociti automobilisti incombono. Si difende come una leonessa ma invano. Alla fine un gruppo di energumeni trascina il relitto della spider in un fosso. Il rito dell’andare “in machina ar mare” in coda può riprendere, inarrestabile. Anna comprende che nulla per lei è cambiato. L’auto che doveva essere viatico e strumento di una nuova vita è solo un rottame come le sue speranze: il film si chiude con la battuta “Ma qui siamo diventati tutti matti!”
Attenti a quella pazza Rolls Royce |
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Titolo originale | Grand Theft Auto |
Lingua originale | Inglese |
Paese di produzione | Stati Uniti d’America |
Anno | 1977 |
Durata | 105 min |
Genere | commedia, azione |
Regia | Ron Howard |
Sceneggiatura | Ron Howard, Rance Howard |
Produttore | Jon Davison |
Produttore esecutivo | Roger Corman, Rance Howard |
Casa di produzione | New World Pictures |
Montaggio | Joe Dante |
Musiche | Peter Ivers |
Interpreti e personaggi | |
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Trama
Due giovani innamorati, Ricky Freeman e Paula Powers, vogliono sposarsi a Las Vegas. Quando Paula fa conoscere Ricky ai suoi genitori questi ultimi contestano la decisione della figlia: così incontrano Collins Hedgeworth, appartenente a una ricca famiglia della zona, per farlo conoscere alla figlia. I genitori di Paula sono ricchi e suo padre, Bigby Powers, sta progettando di candidarsi come governatore. Egli, pensando che Ricky voglia sposare la figlia solo per il denaro, lo getta fuori casa, mentre Paula viene mandata nella sua stanza. Lei riesce a scappare dalla finestra e ruba la Rolls-Royce dei suoi genitori, fa salire Ricky e imbocca la strada: questo è l’inizio di due amanti in fuga e in corsa verso Las Vegas. Come si diffonde la notizia della loro fuga, molte persone partono dopo di loro per cercare di fermarli. Il padre di Paula, Bigby Powers inizia la caccia organizzandola con il suo elicottero privato. Collins Hedgeworth lascia il suo stabile e inizia a inseguire i giovani per l’amore che nutre verso Paula dopo averla conosciuta, ed è proprio lui che chiede alla stazione radio TenQ a DJ Curly D. Brown che si offre una ricompensa di $ 25.000 per quelli che riusciranno a prendere Paula e Ricky.
Come risultato la caccia si fa sempre più caotica e molte persone lungo la strada tentano di fermare la coppia, al fine di rivendicare il premio. Un certo numero di automobili verranno distrutte e rubate, e una ricompensa di 25.000 dollari successiva è offerta per Hedgeworth Collins, che è ricercato dalla polizia, dopo aver rubato una macchina per poter correre dietro i ragazzi in fuga. Con così tante macchine che li seguono, Paula e Ricky sono costretti a passare su piccole strade di campagna per cercare di far perdere le tracce ai loro inseguitori. Ricky chiede così se debbano cambiare luogo di destinazione o continuare per Las Vegas, decidendo di rimanere per la vecchia strada. Il padre di Paula fa un appello via telefono, ma lei si rifiuta di ascoltarlo.
Quando si avvicinano a Las Vegas, Ricky comincia ad avere dubbi circa le ragioni di Paula, e chiede se lei è motivata dall’amore per lui o per il desiderio di far dispetto a suo padre. Lei lo convince a sposarla e così arrivano finalmente nella capitale del divertimento. L’inseguimento però non è ancora finito e anche i mezzi di comunicazione cominciano a diffondere le notizie. Così i ragazzi per seminare gli inseguitori finiscono per essere coinvolti in un demolition derby. L’inestimabile Rolls Royce viene così totalmente distrutta, ma Paula e Ricky riescono a fuggire, finendo per sposarsi.
Il tassinaro |
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Lingua originale | Italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1983 |
Durata | 120 minuti (versione cinematografica) 205 minuti (versione televisiva) |
Genere | commedia |
Regia | Alberto Sordi |
Soggetto | Age & Scarpelli, Alberto Sordi |
Sceneggiatura | Age & Scarpelli, Alberto Sordi |
Produttore | Fulvio Lucisano |
Fotografia | Sergio D’Offizi |
Montaggio | Tatiana Casini Morigi |
Musiche | Piero Piccioni |
Scenografia | Massimo Razzi |
Interpreti e personaggi | |
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Il tassinaro è un film commedia del 1983 diretto ed interpretato da Alberto Sordi.
Trama
Pietro Marchetti, maturo tassista romano, ha degli innumerevoli ed interessanti incontri mentre è in servizio con la sua vettura “Zara 87”, che vanno da una ragazza con intenti suicidi ad un anziano portiere che gli affida un neonato da recare a sua madre prostituta sul posto di lavoro. Seguono un’impossibile coppia di sposi, una matura ex diva (Silvana Pampanini) che egli ferisce scambiandola per un’altra, fino al politico Giulio Andreotti ed il regista e coetaneo Federico Fellini, tutti interpretati dai medesimi. Quest’ultimo, davanti allo sguardo divertito di Marchetti, incontra l’attore Sordi negli Studi di Cinecittà.
Non mancano situazioni critiche come alterchi e tentativi di rapina alle quali egli reagisce con dignità, una volta venuta meno la pazienza, nonché situazioni comiche dal sapore di altri tempi all’interno delle mura domestiche.
Curiosità
- Il taxi guidato da Sordi è una Fiat Ritmo II serie.
- L’abitazione della famiglia Marchetti, simile a degli scorci trasteverini del dopoguerra, è nell’antico borgo di Ostia Antica in piazza della Rocca.
- Esterni girati a Roma nei luoghi menzionati nel film. La piazza dove l’anziano portinaio consegna il neonato, si trova nei pressi della fermata Metro A Subaugusta, vicino agli studi di Cinecittà.
- L’hotel dove si svolge la cena dell’emiro è la Sala Ellisse del Cavalieri Hilton in via Cadlolo 101, al quartiere Medaglie d’Oro.
- Gli interni sono girati nei teatri di posa di Cinecittà, tra i quali numerose scene nella vettura di servizio, utilizzando la tecnica di uno schermo retrostante cui sono proiettati scorci urbani, spesso sproporzionati con il soggetto, e conosciuta come trasparente.
- Un’edizione del film più lunga fu trasmessa su Rai Uno in due serate nel 1988.
- Il film ha avuto un séguito, Un tassinaro a New York del 1987, sempre diretto e interpretato dallo stesso Sordi.


A spasso con Daisy |
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Titolo originale | Driving Miss Daisy |
Paese di produzione | Stati Uniti d’America |
Anno | 1989 |
Durata | 99 min |
Rapporto | Widescreen |
Genere | commedia, drammatico |
Regia | Bruce Beresford |
Soggetto | Alfred Uhry |
Sceneggiatura | Alfred Uhry |
Produttore | Lili Fini Zanuck, Richard D. Zanuck |
Casa di produzione | Majestic Films International, The Zanuck Company, Warner Bros. |
Distribuzione in italiano | Life International |
Fotografia | Peter James |
Montaggio | Mark Warner |
Effetti speciali | B.J. Shelley, Bob Shelley |
Musiche | Hans Zimmer, Willie Best, Antonín Dvořák, Robert Hill, Joan Javits, Philip Springer |
Scenografia | Bruno Rubeo, Crispian Sallis |
Trucco | Manlio Rocchetti |
Interpreti e personaggi | |
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A spasso con Daisy (Driving Miss Daisy) è un film del 1989 diretto da Bruce Beresford con Morgan Freeman e Jessica Tandy, tratto dall’omonima opera teatrale di Alfred Uhry.
Trama
Atlanta, 1948. Miss Daisy Werthan è un’anziana e distinta signora ebrea di settantadue anni, vedova di un ricco produttore di tessuti anch’egli ebreo e maestra elementare ormai in pensione. Molto attiva e indipendente, è soprattutto nota come una donna molto burbera, cocciuta, bacchettona e vive da sola nella sua bella casa, dove è assistita dalla domestica di colore Idella, che con gli anni ha imparato a sopportare il suo indomito temperamento quanto le sue bizzarre fissazioni e i molteplici pregiudizi.



Un giorno perde il controllo della sua automobile sbagliando la marcia mentre esce dal garage, finendo nel giardino dei vicini. Benché uscita dall’incidente miracolosamente illesa, il danno riportato dall’automobile è catastrofico, e costa all’assicurazione un gran numero di soldi, tanto che suo figlio Boolie, erede dell’azienda paterna, decide di assumerle un autista nonostante le sue furiose proteste. Poco tempo dopo, su presentazione di un suo operaio, Boolie conosce un uomo di colore di quasi settant’anni, Hoke Colburn, autista delle consegne del latte analfabeta e in ritiro, che opportunamente avverte circa le inesauribili particolarità caratteriali della spigolosa e pignola signora. Hoke assiste quindi miss Daisy armandosi di una massiccia dose di pazienza e di un sorriso sempre spontaneo e solare, concedendosi molto di frequente frecciate d’umorismo pungente.
All’inizio la donna rifiuta categoricamente lo chauffeur, in quanto la farebbe a suo dire “passare scioccamente per ricca davanti a tutti”, e fa di tutto per tenerlo seduto in cucina in silenzio, ben lontano dalla nuova automobile, arrivando poi a trovare ogni pretesto per convincere il figlio a cacciarlo via, ma senza successo. Dopo una settimana, miss Daisy accetta di ricorrere ai servizi di Hoke, che le ripete di continuo di non poter accettare di essere pagato da Boolie solo per girare i pollici in cucina, facendosi portare al supermercato, dalle amiche, al cimitero ebraico e poi alla festa del novantesimo compleanno del fratello.
Con il tempo Daisy si ammorbidisce e si fa più amichevole con l’autista, anche se ogni tanto si concede qualche istante di burbera pedanteria. Con la morte improvvisa di Idella per infarto, l’anziana vedova e il suo autista smorzano vieppiù le difficoltà relazionali, al punto che lui si improvvisa con grande entusiasmo giardiniere, cuoco e cameriere. Complice il passare del tempo, fra i due nascerà una bella storia d’amicizia, tanto che la maestra si decide a insegnargli a leggere e a scrivere.
Nel 1966 Boolie amplia la propria azienda tramutandola in un’industria di grande successo, tanto da venire insignito dalla Camera di Commercio del titolo di uomo d’affari dell’anno, mentre Daisy, ormai novantenne ma sempre in ottima salute, partecipa a un discorso di Martin Luther King in occasione di una cena sociale a cui è presente tutta l’alta società di Atlanta. Questa scena costituisce un momento molto importante in quanto svela la vera morale del film: le discriminazioni dei bianchi a danno dei neri costituiscono un fenomeno che non si limita soltanto alle violenze pubbliche e materiali e alla ghettizzazione dei neri, ma che trae vantaggio dal silenzio complice da parte della gente perbene che preferisce chiudere gli occhi anziché contribuire a migliorare le cose anche per quegli statunitensi del sud bianco che vivono in condizioni precarie. A suo giudizio, gli Stati Uniti si proclamano con fierezza una terra di onestà, di giustizia e prosperità per tutti, ma in realtà sono una terra di indifferenza, discriminazione e ipocrisia.


Ormai novantaquattrenne, Daisy si ammala di demenza ed entra improvvisamente in uno stato di confusione, convincendosi di essere ancora a scuola a insegnare ai suoi bambini; il finale la vede ospitata in una casa per anziani dove riceve saltuariamente la visita del figlio e di Hoke anche lui invecchiato, ma rimasto il suo vero amico di una vita che sta finendo per entrambi.
- Il film fu vincitore di quattro premi Oscar nel 1990;
- Tratto dall’opera teatrale di Alfred Uhry, scelto come sceneggiatore del film, la pellicola affronta un problema importante come quello del razzismo da una prospettiva insolita ed originale: senza scene violente o particolarmente forti e con i toni della commediadivertente, come denotano le battute della domestica Idella. Ma, da un’analisi più attenta, emergono le contraddizioni di una società che si proclama fieramente libera da pregiudizi, come afferma Daisy all’inizio del film, e che in realtà si rivela indifferente e ipocrita. Così, il tema principale del film traspare da tanti piccoli momenti, come quello in cui Hoke rammenta a Daisy che le persone di colore non possono entrare nei bagni pubblici. La morale di questo film classico, attuale ancora oggi, sta nel discorso finale di Martin Luther King: il razzismo non è solo animato dai Ku Klux Klan, ma anche da quanto ognuno possiede dentro il cuore, quindi non basta condannare a parole gli atti razzisti più estremi, solo per liberarsi la coscienza, ma serve l’azione per mutare il corso degli eventi;
- Il personaggio di Florine, moglie di Boolie, non si trova nella pièce teatrale ed è stato creato appositamente per il film;
- Le riprese si sono svolte interamente nella città di Atlanta, capitale dello stato della Georgia, tra il 15 maggio e il 5 luglio 1989. Il film è uscito negli Usa l’11 dicembre 1989 in un’anteprima a Washington. Il Italia è uscito dal 16 marzo 1990.
Frasi famose
«Se non hanno emendato la costituzione senza farmelo sapere, ho ancora i miei diritti!» |
(Daisy) |
«Io non vorrei essere nei tuoi panni, neppure se nostro Signore venisse giù a chiedermelo di persona!» |
(Idella) |
«Io i miei affari li faccio in questa città… a molti miei clienti la cosa non piacerebbe, potrebbero storcere un po’ il naso e chiamarmi “Martin Luther Werthan” dietro le spalle» |
(Boolie) |
«Dice che le cose stanno cambiando, ma non sono cambiate mica tanto!» |
(Hoke) |
«Hoke… sei il mio migliore amico!» |
(Daisy) |
Un Maggiolino tutto matto |
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Titolo originale | The Love Bug |
Lingua originale | inglese |
Paese di produzione | Stati Uniti d’America |
Anno | 1968 |
Durata | 104 min |
Genere | commedia, fantastico |
Regia | Robert Stevenson |
Sceneggiatura | Bill Walsh e Don DaGradi |
Produttore | Bill Walsh |
Casa di produzione | Walt Disney Productions |
Fotografia | Edward Colman |
Musiche | George Bruns |
Interpreti e personaggi | |
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Un Maggiolino tutto matto (The Love Bug, talvolta distribuito con il titolo Il Maggiolino tutto matto) è un film della Walt Disney del 1968 diretto da Robert Stevenson.
Il film è il primo episodio della serie Disney di grande successo con protagonista Herbie il Maggiolino.
Trama
«Un uomo saggio disse una volta: “Quando arrivi all’ultima pagina, chiudi il libro!”» |
(Mr. Wu) |
Jim Douglas è un pilota in declino, ridottosi a competere nei demolition derby. Vive in una vecchia stazione dei pompieri, assieme al suo amico Tennessee Steinmetz: quest’ultimo ha appreso le virtù del buddhismo dai monaci del Tibet.
Jim distrugge la propria macchina in una gara. Tennessee ha trasformato la sua Edsel in una scultura astratta, quindi Jim si dirige alla ricerca di un nuovo veicolo di basso costo. Entrato in un concessionario di alta gamma, dopo aver adocchiato la bella assistente Carole, fa conoscenza con l’arrogante proprietario Peter Thorndyke al quale chiede se c’è una semplice auto che costi 75 dollari massimo 80 e non di più. Essendo un concessionario di macchine lussuose e costose, Jim viene immediatamente messo alla porta da Thorndyke. Subito dopo a Jim si avvicina un Maggiolino bianco venuto dall’officina sul retro del negozio. Un giorno una signora che aveva acquistato lì una nuova auto, aveva chiesto a Carole di procurare un’utilitaria per la propria cameriera ovvero il Maggiolino il quale era stato rimandato indietro la mattina stessa per dei difetti meccanici. Thorndyke non appena vede il Maggiolino va su tutte le furie e ordina ai suoi dipendenti di riportarlo nell’officina dandogli pure un calcio, considerato da lui un’auto semplice e non degna di essere esposta insieme alle altre. Jim prende le difese della macchina, solo per ritrovarsela sotto casa la mattina dopo. Accusato di furto aggravato, riesce a trovare un accordo grazie a Carole e acquista l’auto a rate.
Jim ben presto scopre che l’auto diviene a volte del tutto incontrollabile. Mentre lui pensa a una truffa, Tennessee ritiene che dipenda dalla presenza di “un’anima” in taluni oggetti: per questo cerca di fare amicizia con il Maggiolino e gli dà il nome di Herbie. Jim inizia ad apprezzare la macchina, quando scopre che essa sta cercando di far mettere insieme lui e Carole. Inoltre il Maggiolino ha doti velocistiche incredibili, perfette per tornare a gareggiare. Nel mondo delle corse ritrovano Thorndyke, che scommette ironicamente sul loro successo e perde le restanti rate dell’auto. Dopo una sequela di umilianti sconfitte, Thorndyke convince Carole a portare Jim a un appuntamento. Dopo aver fatto ubriacare Tennessee a furia di brindisi di caffè irlandese (caffè, whisky e panna), Thorndyke versa abbondanti tazze di bevanda nel serbatoio dell’auto. Il giorno dopo Herbie si inchioda prima del traguardo, mentre Thorndyke vince.
Quella sera Jim torna a casa con una Lamborghini 400GT nuova di zecca, dopo aver accettato di vendere Herbie a Thorndyke. Jim sostiene di aver bisogno di una “vera automobile” per correre la El Dorado Race, ma tutti lo trattano da incosciente. Herbie in impeto di gelosia tampona la nuova auto fino a distruggerla e fugge. All’arrivo di Thorndyke Jim si dirige all’inseguimento di Herbie. Il Maggiolino, dopo essere stato ritrovato da Thorndyke ed essere scampato allo smantellamento, corre per la città demolendo Chinatowne cerca di gettarsi dal Golden Gate Bridge; nel cercare di impedirlo, Jim rischia di cadere e viene salvato dall’auto. Presi in consegna dalla Polizia, vengono condannati a un grosso risarcimento per aver distrutto il negozio del signor Wu. Tennessee, che ha imparato il cinese dai monaci, capisce che il signor Wu è un appassionato di corse, che accetterebbe Herbie in permuta per i danni. Jim avanza una controproposta: se la loro squadra riuscirà a vincere la El Dorado, il signor Wu si terrà il premio e rivenderà loro Herbie al prezzo simbolico di un dollaro. La risposta di Wu: “Adesso sì che parli la mia lingua!”
La El Dorado si svolge in due tappe, tra la Sierra Nevada fino alla Yosemite Valley e ritorno. Prima della partenza, Thorndyke e il signor Wu fanno una seconda scommessa, i cui termini non vengono presentati. Thorndyke, con il suo assistente Havershaw per copilota, sfodera ogni possibile sporco trucco: al termine della prima tappa, Herbie arriva al traguardo per miracolo, a notte fonda e senza due ruote. Nonostante gli sforzi di Tennessee, sembra che l’auto sia troppo danneggiata per continuare la gara. Thorndyke viene a esigere il pagamento della scommessa (che lo rende nuovo proprietario), ma Herbie si rianima e lo costringe alla fuga. Il giorno dopo, sfruttando una serie di insolite scorciatoie, Herbie si riporta in testa alla gara. Sull’ultimo chilometro, la carrozzeria si spezza in due. La parte posteriore, con a bordo Tennessee e il motore, taglia il traguardo appena prima di Thorndyke, mentre l’anteriore arriva appena dopo. Herbie conquista il primo e il terzo posto.


Grazie alla scommessa, Wu è divenuto proprietario dell’autosalone di Thorndyke (con Tennessee come assistente). Thorndyke e il suo assistente sono ridotti a fare i meccanici. Nel frattempo, Herbie è stato perfettamente riparato e parte per il viaggio di nozze di Jim e Carole.
La corsa più pazza d’America |
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Titolo originale | The Cannonball Run |
Lingua originale | inglese, cantonese, giapponese, arabo |
Paese di produzione | Stati Uniti d’America, Hong Kong |
Anno | 1981 |
Durata | 95 min |
Rapporto | 1,85 : 1 |
Genere | azione, commedia |
Regia | Hal Needham |
Sceneggiatura | Brock Yates |
Produttore | Albert S. Ruddy |
Produttore esecutivo | Raymond Chow, Andre Morgan |
Casa di produzione | Golden Harvest Company, Eurasia Investments |
Fotografia | Michael Butler |
Montaggio | Donn Cambern, William D. Gordean |
Effetti speciali | Cliff Wenger |
Musiche | Al Capps |
Scenografia | Carole Wenger, Rochelle Moser |
Costumi | Norman Salling |
Trucco | Ed Butterworth, Tom Ellingwood |
Interpreti e personaggi | |
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La corsa più pazza d’America (The Cannonball Run) è un film del 1981, diretto da Hal Needham.
Indimenticabile la bellissima Farrah Fawcett
Trama
Un gruppo di piloti partecipa ad una corsa clandestina che attraversa da costa a costa gli Stati Uniti d’America. Ogni equipaggio ha la propria originale strategia per eludere la cattura da parte delle forze dell’ordine ed arrivare primo al traguardo: J.J. McClure e Victor Prinzim gareggiano con un’ambulanza con tanto di finto paziente e un medico ubriaco al seguito; Seymour Goldfarb Jr. (che spesso si identifica come Roger Moore stesso, anche al momento dell’iscrizione alla corsa) si affida invece ad accessori per la sua Aston Martin DB5 degni di 007; Jamie Blake e Morris Fenderbaum si travestono da preti e guidano una Ferrari 308 GTS; Jill Rivers e Marcie Thatcher alla guida di una Lamborghini Countach fanno affidamento al loro fisico mozzafiato per ingraziarsi i poliziotti; il pilota professionista Jackie Chan e il suo ingegnere usano un prototipo appositamente costruito dotato di strumentazione all’avanguardia che spesso e volentieri funziona a modo suo; uno strano sceicco partecipa con la sua Rolls-Royce, cacciandosi sempre nei guai per la sua lingua lunga. Infine, Compton e Finch, due amici ex-compagni di scuola si travestono da sposini in luna di miele, ma a causa del peso eccessivo del passeggero, la loro moto corre sulla ruota posteriore per tutto il tragitto.
Veicoli degli equipaggi
Qui di seguito, i veicoli usati dagli equipaggi principali della pellicola:
- Aston Martin DB5 guidata da Seymour Goldfarb jr.
- Chevrolet Monte Carlo e Chevrolet Laguna dell’equipaggio Mel e Terry
- ambulanza Dodge Tradesman dell’equipaggio McClure e Prinzi
- Ferrari 308 GTS dell’equipaggio da Jamie Blake e Morris Fenderbaum
- Harley-Davidson Sportster del duo Compton e Finch
- Lamborghini Countach LP 400 dell’equipaggio Marcie Thatcher e Jill Rivers
- Subaru GL 4WD dell’equipaggio Jackie Chan e Michael Hui
- Rolls-Royce Silver Shadow guidata da Sceicco Abdul ben Falafel
Produzione
La pellicola, come pure i suoi due “sequel”, trae spunto dalla corsa nota come Cannonball Baker Sea-To-Shining-Sea Memorial Trophy Dash (chiamata anche più sinteticamente “Cannonball Run”), organizzata negli anni 70 da Steve Smith, l’editore della rivista Car and Driver, che sponsorizzò la corsa e partecipò al viaggio inaugurale fatto per verificare la possibilità che la competizione fosse possibile.
Tra i partecipanti anche il pilota professionista Dan Gurney, già vincitore della 24 ore di Le Mans, che arrivò primo nel 1972 con una Ferrari 365 Daytona. La Cannonball Run fu disputata solo 4 volte, ma ha avuto diverse imitazioni non autorizzate anche fuori dagli Stati Uniti, e nel 1999 ha ispirato una nuova corsa, la Gumball 3000, molto famosa e non competitiva (ai piloti viene chiesto di rispettare il codice dei paesi attraversati), che ogni estate si svolge su un diverso percorso.
La pellicola è una coproduzione della Golden Harvest, compagnia nata ad Hong Kong ma presente anche in varie produzione americane degli anni 80. Il produttore Raymond Chow (noto per i film di Bruce Lee in cui faceva anche dei camei) portò nel cast la star in ascesa Jackie Chan, allora sconosciuto oltre i confini nazionali; Chan esegue nel film le sue riconoscibili acrobazie marziali nella scena della scazzottata con i motociclisti, fingendo perfino un comico strappo all’inguine dopo un doppio calcio contemporaneo a due biker.
Gran Torino |
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Titolo originale | Gran Torino |
Lingua originale | inglese |
Paese di produzione | Stati Uniti d’America |
Anno | 2008 |
Durata | 116 min |
Rapporto | 2.40 : 1 |
Genere | drammatico, poliziesco, thriller, commedia |
Regia | Clint Eastwood |
Soggetto | Nick Schenk, Dave Johannson |
Sceneggiatura | Nick Schenk |
Produttore | Clint Eastwood, Bill Gerber, Robert Lorenz |
Produttore esecutivo | Jenette Kahn, Tim Moore, Adam Richman |
Casa di produzione | Double Nickel Entertainment, Gerber Pictures, Malpaso Productions, Village Roadshow Pictures, Warner Bros. |
Distribuzione in italiano | Warner Bros. |
Fotografia | Tom Stern |
Montaggio | Joel Cox |
Musiche | Clint Eastwood, Kyle Eastwood, Michael Stevens |
Scenografia | James J. Murakami |
Trucco | Kimberly Jones, Tania McComas |
Interpreti e personaggi | |
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Gran Torino è un film del 2008 diretto e interpretato da Clint Eastwood.
Trama
Walt Kowalski è un reduce con sangue polacco della guerra di Corea, dove prestava servizio nella 1ª Divisione di cavalleria statunitense; da poco divenuto vedovo, dopo cinquant’anni di matrimonio, ha lavorato una vita come operaio alla Ford. La sua vita, semplice e metodica, la trascorre ad Highland Park, un quartiere popolare della periferia di Detroit, una zona diventata ricettiva alle nuove famiglie di migranti dall’Asia e con problemi di bande e delinquenza giovanile. Lui è uno dei pochi americani rimasti e ha un rapporto conflittuale con una vicina famiglia di asiatici. Cova una sorta di disprezzo e razzismo per il diverso, in particolare per gli immigrati asiatici, ciò lo rende particolarmente nervoso e suscettibile. A peggiorare la situazione è anche il pessimo rapporto che ha con i due figli: Mitch, quello che gli è più vicino, sembra in realtà interessarsi più ai suoi beni che alla sua persona. Così come i nipoti che lo vedono, per l’età, come una persona insignificante e che presto o tardi morirà. Non è risaputo se questo distacco da parte dei figli di Walt sia dovuto al poco rapporto che essi hanno avuto in passato con lui. Mitch e suo fatello sostengono che per quanto cerchino di aiutare il loro padre Walt, egli sarà sempre deluso di loro.
Walt è anche un uomo malato, tormentato da un tumore ai polmoni, ma quello per cui soffre di più è un conflitto interiore che solo un religioso sembra intuire e provare a comprendere, il giovane padre Janovich. Il carattere scontroso e pugnace di Walt è però all’origine di un singolare avvicinamento alla famiglia dei suoi vicini di casa, di etnia Hmong, con la quale si è sempre guardato dall’imbastire il benché minimo rapporto.
Una sera, infatti, il giovane Thao subisce l’ennesima prevaricazione da una gang di teppisti, della quale fa parte anche un suo cugino, che vuole coinvolgerlo nelle proprie attività criminose. La sorella Sue, la mamma, e perfino la nonna, cercano con tenacia di trattenerlo. Ne nasce un parapiglia che finisce per sconfinare anche nel giardino di Kowalski il quale ristabilisce l’ordine, M1 Garand alla mano, mettendo in fuga i giovani malviventi. Il suo gesto, originato probabilmente da motivi egoistici (la salvaguardia del “suo terreno”), appare un’azione coraggiosa e di grande valore agli occhi dei vicini e di tutta la comunità Hmong di cui fanno parte, un gesto compiuto in difesa di una famiglia debole alla quale manca una figura adulta maschile e per questo sottoposta a continue vessazioni (gli Hmong sono una popolazione che fu costretta a emigrare in massa negli Stati Uniti proprio per l’appoggio dato agli americani durante la guerra del Vietnam).


Così, il giorno seguente, il burbero anziano si vede recapitare una grande quantità di fiori e di specialità culinarie che lo irritano e imbarazzano, tanto da gettarne via una gran parte. Quando nei giorni seguenti vede la giovane Sue minacciata da tre afroamericani, interviene di nuovo, mettendo in fuga i malintenzionati e salvando la ragazza. Walt entra così definitivamente nelle grazie della famiglia e della comunità che sta imparando a scoprire.
Thao viene mandato a servire Walt per una settimana, come punizione per aver tentato, giorni prima, di rubare l’auto che Walt custodisce gelosamente nel suo garage: si tratta di una Ford Gran Torino, un bolide del 1972, autentico gioiello che il ragazzino aveva goffamente cercato di sottrarre come gesto d’iniziazione alla banda di teppisti, alla quale tuttavia decide alla fine di non unirsi.
Walt non può rifiutarsi di accettare i servizi del ragazzo anche se non ha idea di come impiegarlo. Questa sorta di convivenza forzata gli fa comprendere come i valori più profondi in cui crede si ritrovino più in questo ragazzo e nella sua famiglia, che non nei propri familiari o in altri “americani di oggi”. Walt finisce per prendere a cuore le sorti di Thao e gli procura un lavoro. I teppisti non accettano il gesto e aggrediscono il ragazzo. Kowalski, venutone a conoscenza, li raggiunge e, dopo averne pestato uno, li avverte di stare alla larga da quella famiglia. I giovani delinquenti, però, non demordono: quella stessa sera sparano raffiche di colpi contro la casa di Thao, lo feriscono lievemente e ne violentano poi la sorella Sue. La polizia non riesce ad arrestare i colpevoli a causa dell’omertà della comunità asiatica.
Walt fatica a reprimere la propria rabbia. Padre Janovich capisce il pericolo imminente e lo scongiura di non peggiorare la situazione. Il giorno dopo, Thao, per organizzare la vendetta, va a casa dell’anziano amico, ma questi, per non fargli correre rischi, lo chiude a chiave in cantina con l’inganno e, dopo essersi tagliato i capelli, aver comprato un vestito nuovo ed essersi confessato, si reca dai teppisti. Dalla strada, dove nonostante il buio della sera può essere visto da tutti, affronta i sei giovani criminali tutti ben armati e asserragliati in casa. Quando infila la mano sotto la giacca, come a voler prendere un’arma, i teppisti gli sparano e lo uccidono; ma in tasca aveva solo il suo accendino. Gli assassini vengono finalmente arrestati e Thao e la sua famiglia trovano un po’ di serenità e la possibilità di guardare con più fiducia al futuro.
In conclusione, alla lettura del testamento, dettato con il linguaggio colorito che gli era proprio in vita, si scopre che Walt Kowalski ha lasciato la propria casa alla Chiesa come avrebbe voluto la moglie, e la splendida Gran Torino a Thao, l’amico più fidato (con gran dispiacere della figlia di Mitch che sperava di riceverla in eredità). Nella scena finale della pellicola Thao è alla guida della Gran Torino accanto a Daisy, la fidata cagnolina di Walt. Thao è sereno, ma triste nel ricordo di Walt e del suo sacrificio e guida veloce procedendo per la strada che costeggia il Lago Erie.
Produzione
Il budget della produzione è stato di 33 milioni di dollari.

Il titolo Gran Torino è un riferimento all’automobile della Ford Gran Torino, modello coupé molto in voga negli USA durante gli anni settanta; è anche la vettura utilizzata dall’agente David Starskynella serie televisiva Starsky & Hutch. Il nome “Torino” deriva dal fatto che gli statunitensi consideravano questa città, sede della FIAT e della Lancia, come la Detroit d’Italia.
Il personaggio interpretato da Eastwood nel film è molto legato a questo modello di auto e la cura che gli dedica lo caratterizza in modo quasi maniacale.
Sceneggiatura
La sceneggiatura è stata scritta da Nick Schenk, che ha delineato il protagonista come un irascibile americano razzista, la cui personalità sarà soggetta a profondi cambiamenti durante il corso della storia.
Alcuni blogger della comunità hmong hanno criticato Schenk per il suo modo di rappresentare gli stereotipi anti-hmong, considerando mal riuscito il copione.
Riprese
Le riprese si sono svolte a Detroit (USA) tra luglio e agosto, dopo circa un mese di castingaperto alle comunità hmong di Saint Paul, Fresno e Detroit; altre località sono state Warren, Royal Oak e Grosse Pointe Park.
La scelta di svolgere la lavorazione in Michigan è dovuta ad una legge locale volta a incentivare le produzioni cinematografiche che scelgono il Michigan come ambientazione.
Per ottenere una consulenza dettagliata sugli stereotipi contro i Hmong e sulla loro cultura, Eastwood ha richiesto l’affiancamento di centinaia di immigrati Hmong. Parlando del suo personaggio, Eastwood l’ha così descritto:
(EN)
«I’m a weirdo in it. I play a real racist… But it also has redemption. This Hmong family moves in next door, and he has been in the Korean War, in the infantry, and looks down on Asian people and lumps everybody together. But finally they befriend him in his time of need because he has no relationship with his family.» |
(IT)
«Interpreto un tipo strano. Un vero razzista… Ma ha anche una redenzione. Questa famiglia asiatica si trasferisce nella casa accanto; lui ha combattuto nella guerra di Corea, nella fanteria, e guarda agli asiatici come a una massa indistinta. Ma loro lo aiutano nel momento del bisogno, perché lui non ha un rapporto con la sua famiglia.» |
Promozione
Il materiale promozionale (locandine e poster) è stato prodotto da “The Cimarron Group”, gruppo che già aveva collaborato con Eastwood per la promozione di Changeling.
Prima della nuova uscita americana del film (9 gennaio 2009), è stato lanciato su YouTube il video musicale realizzato per l’ultima traccia della colonna sonora del film, cantata da Jamie Cullum e, nel film, anche dallo stesso Clint Eastwood.
Cinque poveri in automobile![]() ![]() |
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Lingua originale | italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1952 |
Durata | 97 min |
Dati tecnici | B/N |
Genere | commedia |
Regia | Mario Mattoli |
Soggetto | Cesare Zavattini |
Sceneggiatura | Aldo De Benedetti, Mario Amendola, Titina De Filippo, Aldo Fabrizi, Ruggero Maccari, Mario Monicelli, Steno, Cesare Zavattini, Eduardo De Filippo |
Casa di produzione | Documento Film |
Distribuzione in italiano | Documento Film |
Fotografia | Mario Albertelli |
Montaggio | Giuliana Attenni |
Musiche | Vittorio Mascheroni |
Scenografia | Alberto Boccianti |
Interpreti e personaggi | |
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Cinque poveri in automobile è un film comico del 1952 diretto da Mario Mattoli con Aldo Fabrizi, Eduardo De Filippo, Titina De Filippo, Raimondo Vianello e Walter Chiari.
Trama
A Roma, quattro amici accomunati dalle ristrettezze finanziarie comprano in comune un biglietto della lotteria e vincono un’automobile di lusso: dato che la vettura, costosa e dagli alti consumi, non servirebbe a nessuno di loro, decidono di rivenderla allo stesso concessionario da cui la ritirano, incassando il denaro; prima però si mettono d’accordo per usarla ognuno per un giorno, per il gusto di togliersi delle soddisfazioni. Il film quindi, malgrado l’unità narrativa di fondo, si sviluppa praticamente in quattro episodi ben distinti, ognuno dei quali sorretto da uno dei quattro attori principali.
Mariù Palombella, attrice di mezza età, aveva conosciuto il successo in gioventù ma ormai è ridotta a sbarcare il lunario facendo saltuariamente la comparsa a Cinecittà. Frequenta poco la figlia sposata, in quanto ha la sensazione che il genero non la apprezzi per le sue eccentricità, le sue precarie condizioni economiche e la sua propensione a qualche bicchierino di liquore di troppo. Il primo giorno la fuoriserie spetta a lei e ne approfitta per presentarsi a casa della figlia con un vestito elegante, raccontando di essere stata scritturata per fare dei film in America. A mano a mano l’iniziale freddezza si scioglie, grazie anche alla presenza della nipotina che vede la nonna per la prima volta, e, benché credano poco alla storia dell’America, figlia e genero congedano Mariù facendole promettere di tornare.
Cesare Baroni è un vetturino messo in crisi dalla concorrenza ormai generalizzata dei tassisti negli spostamenti urbani. Quando l’automobile spetta a lui, tenta maldestramente di fare uno scherzo a un suo collega, danneggiandogli la carrozzella. Per riparare al danno, Cesare si vede costretto a far proseguire il tragitto in macchina ai due passeggeri della carrozzella. Questi, amanti clandestini, gradirebbero soprattutto restare inosservati, ma finiscono per essere scoperti dal marito di lei, e Cesare, dopo aver pagato un gran numero di multe, rimane senza benzina ed è costretto a far trainare la fuoriserie dalla sua vecchia cavalla.


Eduardo Moschettone si è trasferito a Roma molti anni prima dalla sua Rocca Priora per fare fortuna, ma poi si è ridotto a fare lo spazzino. Con la fuoriserie intende tornare al paese per suscitare l’invidia dei suoi compaesani, e soprattutto per umiliare Catiello, il suo antico rivale in amore. In realtà a Rocca Priora nessuno lo ricorda e la sua visita passa del tutto inosservata; solo casualmente Eduardo incontra Catiello, ridotto all’elemosina e da tempo abbandonato dalla donna che era stata motivo della contesa. Eduardo, impietosito per le condizioni del rivale, rinuncia al suo proposito di presentarsi come un signore benestante e racconta a Catiello di essere l’autista alle dipendenze del padrone della fuoriserie.
Paolo è un facchino d’albergo, innamorato di Gina, cameriera ai piani, e tenta immediatamente di usare l’automobile per fare colpo su di lei, ma la ragazza rifiuta di credere che Paolo sia il proprietario della macchina e per farlo ingelosire accetta di uscire con un altro uomo. Paolo si trova ad accogliere in auto una viziata signora ospite dell’albergo, che, ritenendolo ricco, insiste per passare una serata divertente con lui, facendosi portare in un ristorante carissimo. Paolo, dopo aver girato qua e là con la donna, finisce a notte alta davanti a una casa di cui vuol far intendere di essere il proprietario, quando si fa avanti un maggiordomo e accoglie lui e la sua compagna di viaggio come se si trattasse del padrone. La villa è in realtà proprietà di un’anziana contessa che per filantropia intende temporaneamente metterla a disposizione del giovane; questo però chiarisce di essere innamorato solo di Gina, capitata lì nel frattempo. L’antipatica signora dell’albergo viene scacciata e la contessa saluta i due giovani regalando loro un pieno di benzina.
Il quinto giorno i quattro sono di nuovo riuniti per riconsegnare l’automobile al concessionario e ricavarne i soldi della vendita, quando un passante viene investito e minaccia di sporgere denuncia. Questo in realtà è un altro poveraccio che per sopravvivere si procura degli incidenti per essere risarcito. I quattro provano simpatia per l’uomo, e per scongiurare la possibile denuncia gli offrono un’ultima passeggiata in macchina e una parte del ricavato della vendita.
Il sorpasso |
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Lingua originale | italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1962 |
Durata | 108 min |
Dati tecnici | B/N |
Genere | commedia, drammatico |
Regia | Dino Risi |
Soggetto | Dino Risi, Ettore Scola, Ruggero Maccari |
Sceneggiatura | Dino Risi, Ettore Scola, Ruggero Maccari |
Produttore | Mario Cecchi Gori per Fair Film, INCEI Film, Sancro Film |
Distribuzione in italiano | INCEI Film |
Fotografia | Alfio Contini |
Montaggio | Maurizio Lucidi |
Effetti speciali | Aurelio Pennacchia |
Musiche | Riz Ortolani |
Scenografia | Ugo Pericoli |
Interpreti e personaggi | |
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Il sorpasso è un film del 1962, diretto da Dino Risi. La pellicola, generalmente considerata come il capolavoro del regista, costituisce uno degli affreschi cinematografici più rappresentativi dell’Italia del benessere e del miracolo economico di quegli anni.
Trama
A Roma, la mattina del Ferragosto 1962, la città è deserta. Bruno Cortona, quarantaduenne vigoroso ma nullafacente e cialtrone, amante della guida sportiva e delle belle donne, al volante della sua Lancia Aurelia B24 convertibile vaga alla ricerca di un pacchetto di sigarette e di un telefono pubblico. Lo accoglie in casa Roberto Mariani, studente di legge rimasto in città per preparare gli esami. Dopo la telefonata, Bruno chiede a Roberto di fargli compagnia: i due, sulla spinta dell’esuberanza e dell’invadenza di Bruno, intraprendono un viaggio in auto lungo la via Aurelia, a velocità sostenuta, che li porterà in direzione della Toscana, a Castiglioncello, raggiungendo mete occasionali sempre più distanti. Durante il viaggio verso il nord e verso il mare, arriveranno anche a far visita ad alcuni parenti di Roberto, prima, e alla figlia e all’ex-moglie di Bruno, poi.
Il giovane Roberto sarà più volte sul punto di abbandonare Bruno, ma sia il caso, sia una certa inconfessabile attrazione, mascherata da una certa arrendevolezza, terrà unita l’assortita coppia di amici occasionali, che significherà per Roberto anche un percorso di iniziazione alla vita. Egli infatti si allontana dai miti e dai timori adolescenziali e inizia la rilettura delle sue relazioni familiari, dell’amore e dei rapporti sociali, sino alla tragica conclusione che si materializza durante l’ennesimo sorpasso avventato: l’auto si scontra con un camion e precipita in un burrone. Bruno si getta fuori dall’auto riuscendo così a salvarsi, mentre Roberto perde la vita. Agli agenti intervenuti Bruno confesserà di non conoscere neppure il cognome del suo passeggero.
Produzione
Originariamente il soggetto era stato scritto per Alberto Sordi nel ruolo di Bruno Cortona e doveva avere come titolo Il giretto. La produzione passò poi a Mario Cecchi Gori che aveva sotto contratto Vittorio Gassman e spinse per affidargli il ruolo del protagonista, avendo a quel tempo Alberto Sordi un’esclusiva con Dino De Laurentiis. A Dino Risi Gassman andava benissimo e Cecchi Gori impose la sola condizione di girare in 60 giorni per evitare che Gassman andasse “in pro-rata” (clausola contrattuale che prevedeva un aumento sostanzioso dell’ingaggio fino a due, tre o quattro volte quello iniziale).
Rodolfo Sonego afferma di essere il vero autore del soggetto che avrebbe poi venduto alla De Laurentiis. La cosa tuttavia non ebbe alcun seguito legale: né Rodolfo Sonego, né la De Laurentiis intentarono una causa, ma Sonego afferma che comunque Il sorpasso, nella realizzazione di Mario Cecchi Gori, era molto fedele al soggetto che egli aveva scritto.
Cast
Intervistato nel 2012 per il cinquantenario del film, Jean-Louis Trintignant dichiarò che fu scelto lui perché assomigliava alla controfigura. In effetti Dino Risi, in un testo per L’Unità, aveva raccontato così la scelta: «Cominciai il film (…) senza sapere chi sarebbe stato il compagno di Bruno Cortona: sapevo solo che doveva essere di piccola statura, biondo e, naturalmente, giovane.» Quindi fu scelta una controfigura con queste caratteristiche. Poi il regista fece arrivare da Parigi l’attore francese, «per me sconosciuto, Jean-Louis Trintignant. Lo vidi e dissi subito: è lui. Gentile, timido, educato, era il perfetto antagonista di Gassman.» Nei titoli di testa, comunque, il nome di Trintignant viene dopo quello della Spaak.
Una delle due turiste nel cimitero militare tedesco (di Pomezia) è Annette Strøyberg, con la quale Gassman avrà in futuro un’importante relazione sentimentale. Nella scena della partita di ping-pong in spiaggia s’intravedono un ventenne Vittorio Cecchi Gori, figlio del produttore del film e futuro produttore lui stesso ed un giovanissimo Giancarlo Magalli seduto su una ringhiera. In una scena dove si possono vedere due ragazzi che giocano a ping-pong, questi sono Andrea e Carlo Giordana, figli di Claudio Gora.
Riprese
Le scene iniziali del film, con Bruno Cortona che percorre in auto strade assolate e deserte di una Roma periferica, furono tutte girate nella zona detta della Balduina, il quartiere romano che negli anni Sessanta era abitato da numerosi attori e cantanti e che rappresentò un simbolo del cosiddetto boom economico. Nei condomìni borghesi di recente costruzione, infatti, convivevano impiegati statali e ricchi commercianti, avvocati e importanti imprenditori edili, spesso definiti con disprezzo palazzinari. Quando Bruno fa nuovamente una sosta questa volta per bere a una fontanella si avvede di un giovane affacciato alla finestra.
In realtà, come detto, colui che appare alla finestra non è Trintignant, ma una controfigura, scelta con le caratteristiche del giovane che Risi aveva immaginato, ripresa in penombra e in campo lungo; inoltre, il vero palazzo usato per l’abitazione di Roberto si trova in un altro quartiere romano, quindi il dialogo fra i due personaggi è un montaggio di scene girate in tempi e luoghi diversi, con interpreti diversi. La cosa si può capire da alcuni particolari: quando Bruno guarda in alto, la persona pare portare gli occhiali e la finestra è grande, del tipo a tre vetri, solo uno dei quali chiuso; quando è invece inquadrato Trintignant, la finestra è visibilmente più piccola, e di tipo diverso; inoltre dietro alla fontanella – che in teoria è frontale alla finestra – è tutta campagna, ma nella scena in cui Roberto vede la portinaia sul balcone dei vicini, tale balcone risulta dirimpetto alla medesima finestra.
La località di Castiglioncello, frazione di Rosignano Marittimo (Livorno), fu scelta da Risi su insistenza di Gassman, che vi era solito trascorrere le vacanze con la famiglia e voleva approfittarne nelle pause di lavorazione: il fatto viene riportato, fra gli altri, nel libro Una grande famiglia dietro le spalle di Paola Gassman, dove l’attrice racconta che proprio per tale circostanza partecipò anche lei alle riprese, debuttando ad appena 17 anni.
Mario Cecchi Gori, produttore del film, aveva pensato a un finale differente rispetto a quello deciso da Dino Risi, cioè quello di inquadrare i due protagonisti mentre sfrecciavano verso l’avventura, ma questo finale non fu adottato: infatti, i due avevano scommesso che se il giorno seguente all’ultima ripresa ci fosse stato bel tempo avrebbero girato il finale voluto da Dino Risi; in caso contrario avrebbero chiuso il set e adottato il lieto fine di Mario Cecchi Gori. Ma il sole di quel giorno, a detta di Dino Risi, fu bellissimo e splendente e questo comportò la scelta del finale tragico.
Il film
I personaggi protagonisti di Bruno Cortona e Roberto Mariani, per esempio, superano abbondantemente la caratterizzazione macchiettistica e caricaturale della commedia. Essi risultano psicologicamente completi e definiti (il regista è laureato in medicina e specializzato in psichiatria), soprattutto Trintignant, che dà vita a un ritratto molto intenso di un giovane timido, perdente, ma maturo nella sua coscienza di classe, attratto da schemi sociali di successo, ma allo stesso tempo incardinato a precisi canoni di comportamento mutuati dal proprio gruppo d’appartenenza, la piccola borghesia romana lavoratrice, che con le proprie virtù familiari si contrappone sia all’alta borghesia rampante e arrivista, sia al sottoproletariato urbano, ancora distante dai grandi processi economici.
Il duello psicologico Bruno-Roberto, giocato sul filo dei 130 chilometri orari, è uno schema nuovo, non consueto nei film di commedia. Come è del tutto innovativo, rispetto alle altre pellicole di genere, il ricorso all’io pensante del giovane Roberto, mediante il quale veniamo a conoscenza della contraddizione tra pensiero e azione che il ragazzo vive a contatto con Bruno, e soprattutto del percorso d’iniziazione erotica e sociale che egli compie. I personaggi protagonisti, così diversi ma in egual misura positivi e negativi, si attraggono e si respingono tra loro, attraendo a loro volta gli spettatori verso due poli distinti e contrapposti d’identificazione sociale: cosa questa che li rende assai diversi dai personaggi sordiani, protagonisti tipici della commedia, accompagnati in genere da un univoco senso di sottile disprezzo o comica compassione.



Il sorpasso segna un’ulteriore differenziazione rispetto ad altre pellicole della commedia all’italiana. In questo film la personalità artistica del regista è più marcata e presente, e non si limita alla sola partecipazione o rifinitura del soggetto. La dinamica delle scene e il succedersi dei piani sono estremamente più elaborati, e sono il frutto di una sola mente ideativa. A volte, la ripresa sfuma nel documentarismo, e i particolari d’ambientazione sono così definiti da somigliare quasi a un cinegiornale del tempo: così, per esempio, nella scena girata nella sala da ballo in riva al mare, quando il regista si sofferma con insistenza sui passi di twist delle comparse. Qui, il regista non è colui che si pone dietro la macchina da presa e si limita a filmare il lavoro corale di una squadra di artigiani, della quale un gruppo di geniali attori fa parte. Risi concepisce personalmente i piani-sequenza, determina a tavolino i ritmi delle scene e delle battute, e, pur lasciando ampio spazio alla creatività dell’attore, decide a priori l’incisività e lo stacco di alcune di esse. Il risultato è leggero, godibile, divertente, nello stile dell’autore, ma al tempo stesso si propone come testimonianza, documentazione e denuncia, allontanandosi molto dai confini della commedia. In alcuni momenti, come quando il giovane studente tenta di salire su un mezzo pubblico nel porto di Civitavecchia, la rappresentazione sociale diventa ultra-realistica, pressoché pasoliniana.
Il sorpasso risulta quindi, come suggerisce del resto il suo stesso titolo, un film assai veloce e ritmato su precisi spunti di accelerazione, e le battute memorabili di Vittorio Gassmanchiudono i tanti siparietti che nella pellicola si aprono e si chiudono con continuità, schema questo che ha assai poco di teatrale e molto di cinematografico.
Altri elementi formali fanno del film un’importante novità. La pellicola infatti è considerata da alcuni un vero road-movie (“pellicola di strada”), il primo del genere in Italia, poiché è strutturale il legame che viene vissuto con la strada nello svilupparsi della vicenda narrativa. È la strada, nel suo rapporto attivo e passivo coi due protagonisti, che segna il percorso del soggetto da un punto di partenza preciso (la Roma deserta di un ferragosto qualunque) sino alla tragica curva di Calafuria, poco dopo il paese di Quercianella, sul lungomare toscano.
«… Ogni incontro è effimero, breve tappa di un viaggio senza meta che li spinge poi a risalire sempre in macchina, strumento di deriva e di fuga da una realtà che nonostante tutto continua a opporre la sua resistenza…» |
Bruno e Roberto si allontanano brevissimamente dalla strada ma a essa fanno sempre ritorno, ed è la strada, appunto, la rappresentazione scenica di una nazione che si avvia velocemente alla fine di un sogno, quello del benessere collettivo e generalizzato. Il salto che l’autovettura compie nel vuoto, tra lo sguardo incuriosito di bagnanti distratti, è puro simbolismo. Come sono carichi di simboli la vita spezzata del giovane onesto e ingenuo e il pericolo invece scampato dal suo alter ego Cortona. Essi rappresentano due identità della nazione, giunta a un bivio della propria storia. La prima, quella legata ai princìpi, sarà sedotta e morirà, nella fine di un sogno, lasciando campo libero alla seconda Italia, quella furbesca, individualista e amorale. È forse questa vena pessimistica, questa profonda sfiducia in un certo tipo di uomo italiano, nelle sue reali possibilità, in certi tratti ricorrenti della storia dell’Italia, e questa critica dura alle sue abitudini e alla sua mentalità, che ricollega il film a quel genere, detto appunto commedia all’italiana, del quale è ritenuto da molti un capolavoro.
Occorre spendere qualche parola in più sui simbolismi che intorno alla strada si raccolgono. Non a caso è la Via Aurelia il percorso lungo il quale la vicenda si snoda, l’arteria consolare che esce da Roma e si dirige pigramente verso le riviere di Fregene e dell’alto Lazio, perché è questa la strada che più di altre nel corso degli anni sessanta ha rappresentato un mito collettivo e generazionale: una strada verso la vacanza, l’evasione, il benessere in molteplici rappresentazioni. L’Aurelia ha rappresentato, in certo qual modo, una sintesi sociale. Il suo percorso, muovendo dal centro della città, attraversava dapprima i quartieri borghesi della capitale in crescita, sorti a ridosso del centro storico di Roma, quindi sfiorava le borgate popolari ancora fatiscenti, e, correndo velocemente tra le ultime contrade agricole della bonifica laziale, raggiungeva le spiagge popolari della riviera o i piccoli centri delle facoltose Fregene, Santa Marinella, e via via su sino a Capalbio, tra un fiorire di urbanizzazioni selvagge e abusive.
La civiltà che i protagonisti incontrano nel loro viaggio è quindi davvero uno spaccato trasversale di quella società romana che collettivamente si metteva in moto ogni domenica per celebrare il rito della festa, tra soste alle stazioni di servizio, lunghe code d’automobili e incidenti frontali.
Anche l’automobile, una Lancia Aurelia B24 (l’analogia tra il nome della spider e la via consolare non può, anche questa volta, esser casuale) riflette un simbolismo radicale. La macchina, infatti, era uscita dalle officine nel 1956 e rappresentava allora il prototipo di un’idea di eleganza e raffinatezza, ma ben presto si trasformò nell’ideale dell’automobile aggressiva, prepotente, truccata nel motore e negli allestimenti, tra cui il famosissimo clacson tritonale che accompagna gran parte delle sequenze in auto. In alcune scene del film la si scorge infatti in questa sua immagine. La fiancata destra mostra ancora le lavorazioni di un’officina di carrozziere, le riparazioni non ancora riverniciate, le cicatrici che dovevano testimoniare le battaglie sostenute dall’auto e dal suo pilota (notare che manca anche uno dei due terminali di scarico della vettura). Dino Risi sceglie non casualmente una Lancia Aurelia, poiché essa rappresenta proprio la corruzione di un’idea, quella fiducia nel miracolo economico che con gli anni andrà a finire in Italia, lasciando il posto a una società divisa e contraddittoria, nella quale solo i cialtroni opportunisti, come Cortona, e i loro pseudovalori morali diventeranno i soggetti protagonisti di un benessere sociale.
Colonna sonora
La colonna sonora è curata da Riz Ortolani; ma le scene più importanti del film vivono invece su alcuni motivi musicali tra i più in voga in quel periodo.
- Quando quando quando (Tony Renis / Alberto Testa) di Emilio Pericoli
- St. Tropez Twist (Mario Cenci / Giuseppe Faiella) di Peppino Di Capri
- Per un attimo (Paolo Lepore e Luigi Naddeo / Gino Mazzocchi) di Peppino Di Capri
- Don’t Play That Song (You Lied) (Ahmet Ertegün / Betty Nelson) di Peppino Di Capri
- Gianni (Nino P. Tassone / Giuseppe Cassia) di Miranda Martino
- Vecchio frak (Domenico Modugno) di Domenico Modugno
- Guarda come dondolo (Carlo Rossi / Edoardo Vianello) di Edoardo Vianello
- Pinne fucile ed occhiali (Carlo Rossi / Edoardo Vianello) di Edoardo Vianello
La trovata può sembrare oggi banale ai più, ma a quel tempo era molto originale, e fu usata come ulteriore caratterizzazione del personaggio e determinazione del contesto.
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