Torna all’articolo: 🎗 Memoria e Ricordo: un obbligo morale per tutte le tragedie
Vai a: ✴ ISTRIA: storia degli ultimi 100 anni
Dominio austriaco, 1815-1918
In viola i confini del Regno d’Italia tra il 1918 ed il 1947, con le isole di Cherso e Lussino vicino all’Istria, la provincia di Zara al centro e le isole di Lagosta e Cazza a sud.
In giallo i confini del Governatorato di Dalmazia tra il 1941 ed il 1943, durante la seconda guerra mondiale.Ingrandendo la mappa si possono leggere molti Toponimi italiani in Dalmazia.
Il ritorno definitivo della Dalmazia all’Austria fu sancito dal Trattato di Parigi del 30 maggio 1814. Poco dopo il Congresso di Vienna ridisegnò il nuovo ordine geopolitico europeo.
L’Impero austriaco costituì la Dalmazia in regno (o provincia) con capitale a Zara, a sua volta diviso in quattro circoli (Zara, Spalato, Ragusa e Cattaro).
L’età dei nazionalismi
Nell’Ottocento, come conseguenza del periodo napoleonico, si assistette al sorgere (se non alla creazione ex novo) delle coscienze nazionali di molti popoli europei (epoca del nazionalismo romantico). In Italia cominciò il periodo del Risorgimento e anche nei Balcani cominciarono a nascere la coscienze nazionali, inizialmente per il diffondersi delle idee del movimento panslavista.
Nella prima metà dell’Ottocento, cominciò a diffondersi in Dalmazia il movimento illirico, al quale faceva capo il croato Ljudevit Gaj. Questo movimento aveva come scopo la creazione di un’unica cultura e coscienza politica degli Slavi del sud. Sebbene rimasto circoscritto alle aree croate, vi aderirono anche alcuni esponenti della comunità serba della Dalmazia. Dal movimento illirico del primo Ottocento, dopo il 1848 cominciò a formarsi il cosiddetto “movimento nazionale croato” che diede avvio in Dalmazia al “risorgimento popolare croato” (hrvatski narodni preporod) ed agli scontri con la dominante comunità dei Dalmati Italiani.
Fino a quel momento i Dalmati (sia italiani che slavi) avevano vissuto senza pregiudizi legati alla lingua parlata e ad inesistenti concetti di “nazionalità“, la cui nascita portò alle prime tensioni fra gli italiani, concentrati nelle città costiere (in molte delle quali erano in maggioranza), e i croati che erano diventati dal Cinquecento il gruppo maggioritario nell’intera Dalmazia.
Come accadde in altre zone miste, le diverse etnie e linguaggi spesso si mescolarono e si sovrapposero fra loro, rendendo arbitraria l’attribuzione di una “nazionalità” che a volte fu il risultato di scelte personali e a volte il risultato della propaganda delle diverse potenze nazionali: i vari gruppi nazionali, infatti, si prodigarono per volgere a proprio favore le situazioni incerte, onde aumentare la propria consistenza numerica.
Come conseguenza della terza guerra d’indipendenza italiana, che portò all’annessione del Veneto al Regno d’Italia, l’amministrazione imperiale austriaca, per tutta la seconda metà del XIX secolo, aumentò le ingerenze sulla gestione politica del territorio per attenuare l’influenza del gruppo etnico italiano temendone le correnti irredentiste. Durante la riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria tracciò un progetto di ampio respiro mirante alla germanizzazione o slavizzazione dell’aree dell’impero con presenza italiana:
«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito.» |
(Francesco Giuseppe I d’Austria, consiglio della Corona del 12 novembre 1866.) |
Sono interessanti in relazione all’ordine di Francesco Giuseppe “per la germanizzazione e la slavizzazione” ed alla politica filoslava del governo imperiale le considerazioni di Massimo Spinetti, ex ambasciatore italiano a Vienna, nel suo articolo “Costantino Nigra ambasciatore a Vienna (1885-1904)”. Spinetti sostiene fra l’altro che “tale politica contro la componente italiana trovò particolare applicazione in Dalmazia, specialmente dopo l’annuncio del matrimonio del Principe ereditario Vittorio Emanuele III con la principessa Elena di Montenegro”.
L’instaurazione del regime costituzionale nel 1860 portò a profondi cambiamenti in Dalmazia: da una parte la libertà di stampa e di associazione favorì il movimento nazionale croato che era stato fino ad allora frenato dalle autorità viennesi (sebbene esse lo usassero anche contro le aspirazioni irredentiste italiane, in conformità con la politica del “divide et impera”). Ancora più importante fu però l’instaurazione dell’autonomia politica della Dalmazia; con le riforme costituzionali del 1860, 1861 e 1867 le varie province dell’Impero austriaco conquistarono importanti, sebbene limitate, forme di autonomia; con queste riforme, la Dalmazia ricevette, per la prima e unica volta nella sua storia, un’autonomia politica estesa a tutto il suo territorio storico.
Le leggi elettorali austriache favorirono il suffragio universale (e con ciò le nazionalità più numerose), ragion per cui gli italiani persero, tra il 1860 e il 1885, l’egemonia politica in Dalmazia: solo la città di Zara rimase governata fino alla prima guerra mondiale da una giunta espressione del partito autonomista (negli anni identificato prevalentemente come il partito degli italiani).
Si trattava di un processo parallelo a quello di altre province austriache, ad esempio la Carniola e la Boemia, dove le maggioranze slave riuscirono a conquistare le istituzioni dell’autonomia provinciale. In Dalmazia, però, questo processo fu ulteriormente traumatico per la comunità italiana, in quanto essa non poteva contare, a differenza dei tedeschi della Boemia e della Carniola, su un sostegno politico da parte del governo centrale di Vienna. I governi centrali, che dovevano frequentemente sostenersi su partiti croati della Dalmazia e sui loro alleati sloveni e cechi, erano pronti a fare delle concessioni agli slavi in Dalmazia che non concessero mai agli sloveni in Carniola o ai cechi in Boemia. Così le scuole medie, che dipendevano, a differenza di quelle elementari, dal governo centrale, furono progressivamente croatizzate. Lo stesso successe con le scuole elementari nei comuni governati da maggioranze slave. La lingua italiana perse così il suo status storico, mantenendo però il suo prestigio quale “lingua culturale” (ricordiamo che persino Frano Supilo, uno dei maggiori esponenti del movimento nazionale croato, dichiarava di “pensare in italiano, pur essendo croato”). La consistenza della comunità italiana nelle città costiere cominciò a diminuire progressivamente, con l’unica eccezione della già citata Zara.
Lo storico Matteo Bartoli nel suo libro “Le parlate italiane della Venezia Giulia e della Dalmazia” scrisse che:
«[…] Dopo la battaglia navale di Lissa del 1866, in Dalmazia come nel Trentino e nella Venezia Giulia tutto ciò che era italiano venne avversato dagli austriaci. Non potendo tedeschizzare quelle terre perché troppo lontane dall’Austria, venne favorita la cultura slava a danno di quella italiana. Nelle varie città dalmate a mano a mano l’amministrazione da italiana passava a croata. Nel 1861 gli 84 comuni dalmati erano amministrati da italiani. Nel 1875 risultava che 39 di essi avevano amministrazione croata, 19 italiana ed i restanti bilingue. I comuni con amministrazione italiana erano: Blatta, Brazza, Cittavecchia di Lesina, Clissa, Comisa, Lissa, Meleda, Mezzo, Milnà, Pago, Ragusa, Sabbioncello, Selve, Slarino, Spalato, Solta, Traù, Verbosa e Zara. Nel 1873 Sebenico passò all’amministrazione croata, così come nel 1882 Spalato, nel 1886 Traù, nel 1904 Arbe e nel 1910 Slarino che lasciava sola Zara. Inoltre dal 1866 al 1914 – ad eccezione di Zara – vennero chiuse le scuole italiane e aperte quelle croate. Il tracollo della componente italiana in Dalmazia è dovuto soprattutto a questo fatto, non avendo più essi libertà di espressione culturale. La trasformazione delle scuole italiane in croate fu accompagnata da numerose proteste, persino nella remota Tenin in cui numerose famiglie chiedevano il mantenimento della lingua italiana. A Lissa una petizione fu portata addirittura all’imperatore. Fu così fondata negli anni novanta la Lega Nazionale, la cui sezione dalmata gestiva a proprie spese scuole private italiane. Esse erano presenti a: Cattaro, Ragusa, Curzola, Cittavecchia di Lesina, Spalato, Imoschi, Traù, Sebenico, Scardona, Tenin, Ceraria, Borgo Erizzo, Zara ed Arbe (oltre a Veglia, Cherso, Unie e Lussino). Tutto questo avveniva in un clima di continue vessazioni da parte degli slavi che a mano a mano conquistavano il potere. Antonio Baiamonti fu podestà di Spalato prima che essa cadde nelle mani dell’amministrazione croata. Egli spese tutta la vita e le proprie sostanze per la sua città, sostanze che mai vennero rimborsate dagli austriaci nonostante le ripetute promesse. Morirà a 69 anni indebitato fino al collo. Diceva spesso: “A noi italiani di Dalmazia non resta che un solo diritto: quello di soffrire!. […]» |
La politica di collaborazione con i serbi locali, inaugurata dallo zaratino Ghiglianovich e dal raguseo Giovanni Avoscani, permise poi agli italiani la conquista dell’amministrazione comunale di Ragusa nel 1899. Nel 1909 la lingua italiana venne vietata però in tutti gli edifici pubblici e gli italiani furono estromessi dalle amministrazioni comunali. Queste ingerenze, insieme ad altre azioni di favoreggiamento al gruppo etnico slavo ritenuto dall’impero più fedele alla corona, esasperarono la situazione andando ad alimentare le correnti più estremiste e rivoluzionarie.
I contrasti politici e nazionali determinarono un’atmosfera di tensione, che si tradusse in episodici atti di violenza, quali aggressioni di persone e devastazioni od incendi d’edifici.
La prima guerra mondiale
Dopo la guerra, in base al Patto di Londra con cui aveva negoziato la propria entrata in guerra, l’Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia settentrionale incluse le città di Zara, Sebenico e Tenin. Tuttavia, in base al principio della nazionalità propugnato dal presidente statunitense Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con l’eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell’isola di Lagosta, che con altre isole (Cherso e Lussino) vennero annesse all’Italia.
Il secolo breve, 1918-1991
La Dalmazia fra le due guerre
Dopo il 1918 molti italiani dalla Dalmazia emigrarono in Italia, specialmente a Zara, unica città dalmata annessa all’Italia. Tra il 1918e il 1921 la comunità italiana della Dalmazia subì rappresaglie, ma in seguito alle convenzioni di Nettunostipulate tra l’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni godette di protezioni come minoranza linguistica, anche se rimasero spesso sulla carta.
Diego De Castro, nel suo “Appunti sul problema della Dalmazia” scrisse che:
«[…] Il Trattato di Versailles e la mancata cessione della Dalmazia all’Italia causò lo sconforto degli Italiani dalmati che emigrarono a migliaia. L’esodo dei dalmati – che pochi ricordano – ebbe una portata non indifferente: secondo lo storico Federzoni emigrarono in 50.000, secondo lo studioso Battara 35.000, secondo lo storico Talpo furono di difficile quantificazione ma comunque in numero di poco minore. Di questi esuli solo alcuni trovarono posto a Zara, mentre una cinquantina di famiglie delle isole curzolane (Lissa, Lesina, Curzola) si trasferirono a Lagosta. Altri esuli da Veglia ed Arbe scelsero le familiari Cherso o Lussino. Altri ancora si fermarono preferibilmente nelle città costiere dove giungevano come Ancona, Bari, (allora anche Pola e, dopo il gennaio del 1924, Fiume), Pescara e Venezia, nonché a Padova, Milano, Genova, Napoli, Torino e Roma. Altri ancora lasciarono anche l’Italia andandosene per il mondo (Canada ed Australia soprattutto). Si parlò in Italia di esuli dalmati in seguito alla così detta “vittoria mutilata”, propagandisticamente ripresa da Mussolini a Milano dopo la fondazione dei Fasci. La italianità della Dalmazia era ormai legata quasi esclusivamente a Zara, Cherso, Lussino e Lagosta. […]» |
Negli anni venti la Dalmazia iugoslava diventò teatro di scontri tra il movimento autonomista croato, connesso alla figura di Stjepan Radić, e le forze centraliste legate alla politica serba dei governi di Belgrado (ORJUNA). Al contrario, nella Dalmazia italiana si ebbe un notevole sviluppo economico favorito dagli aiuti economici con matrice politico-propagandistica voluti dal Fascismo.
Nel 1939, alla Croazia fu concessa un’ampia autonomia politica; l’intera Dalmazia iugoslava (salvo le bocche di Cattaro) fu unita alla Banovina della Croazia con sede a Zagabria. Questa entità politica ebbe però corta vita, a causa della conquista della Iugoslavia da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile 1941.
La seconda guerra mondiale
Divisione della Jugoslavia dopo la sua invasione da parte delle Potenze dell’Asse. Aree assegnate all’Italia: l’area costituente la provincia di Lubiana, l’area accorpata alla provincia di Fiume e le aree costituenti il Governatorato di Dalmazia
Area occupate dalla Germania nazista
Aree occupate dal Regno d’Ungheria
Nell’aprile del 1941, il Regno di Jugoslavia, fu occupato dalle potenze dell’Asse. Viene istituito il Commissariato Civile della Dalmazia (Mussolini incarica Commissario Civile Athos Bartolucci). Quasi tutta la parte costiera della Dalmazia settentrionale (con tutti i principali centri urbani, come Spalato e Sebenico) fu annessa al Regno d’Italia, mentre il resto venne annesso al neocostituito Regno di Croazia, dominato dagli ustascia di Ante Pavelić. Quest’ultimo offrì il trono del giovane stato a un membro della Casa Savoia, Aimone, il quale, pur senza rifiutarlo, non ne prese mai possesso.
Mussolini creò il Governatorato di Dalmazia, che includeva:
- la provincia di Zara che comprendeva il comune di Zara e il suo entroterra ingrandito con Tenin, più le isole dalmate davanti a Zara che passarono sotto sovranità italiana.
- la provincia di Spalato (1941–1943), che comprendeva le città di Spalato, Traù e Sebenico con il loro entroterra, più le isole della Solta (meno dunque la Brazza) e le altre Lissa, Curzola, Lagosta, Cazza, Pelagosa (queste ultime tre scorporate alla Provincia di Zara alla quale appartenevano dal 1920) e Meleda.
- la provincia di Cattaro (1941–1943), che comprendeva i centri di Cattaro, Perasto, Castelnuovo con un piccolo entroterra (circa 600 km²), seguendo grosso modo i vecchi limiti veneziani ed austriaci, più l’isola di Saseno, di fronte alle coste dell’Albania vicino a Valona, quest’ultima scorporata dalla Provincia di Zara di cui faceva parte dal 1920.
- Le isole di Veglia ed Arbe passarono alla provincia di Fiume.
Già dalla fine del 1941, nella Dalmazia (italiana e croata) si innescò una spaventosa e crudele guerra civile, che raggiunse livelli di massacro nell’estate 1942. Contro le atrocità commesse dal regime ustascia, tanto contro i serbi e gli ebrei che contro gli oppositori (o presunti oppositori) croati, si sollevò sia la resistenza partigiana a guida di Tito, plurietnica e comunista, sia varie fazioni nazionalistiche e monarchiche serbe (i cetnici). A loro volta i Titini ed i cetnici perpetrarono crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava i fascisti croati di Ante Pavelić. Numerosi crimini di guerra furono commessi da tutte le parti in causa, dai tedeschi ai partigiani comunisti.
Mappa del Governatorato italiano della Dalmazia (1941-1943), con segnate la provincia di Zara (in verde), la provincia di Spalato (in arancio) e la provincia di Cattaro (in rosso scarlatto)
A causa dell’annessione della Dalmazia costiera all’Italia, cominciarono a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d’occupazione italiane; venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un’alleanza tattica tra le forze italiane e i vari gruppi cetnici. Gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista, provocando fortissime tensioni con il regime ustascia. Lo stesso Mussolini propose di annettere al Regno d’Italia nell’estate 1942 la zona italiana della Croazia (che si trovava tra il Governatorato di Dalmazia e la zona tedesca della Croazia), allo scopo di allontanare gli Ustascia dalle aree italiane e calmare anche i feroci scontri e massacri tra croati, serbi e mussulmani.
Nel settembre del 1943, con la capitolazione dell’Italia, la parte italiana della Dalmazia – ad esclusione di Zara – venne occupata dall’esercito tedesco ed annessa allo Stato Indipendente di Croazia. Nella seconda metà del 1944, i partigiani comunisti di Josip Broz Tito, riforniti dagli alleati, liberarono dai nazisti tutta la regione. L’isola dalmata di Lissa divenne il quartier generale di Tito, mentre gli abitanti delle città dalmate furono soggetti alla repressione da parte della polizia segreta comunista che colpì ogni sorta di oppositori (e presunti oppositori) al nuovo regime comunista. Una delle principali vittime fu la comunità italiana: a partire dal 1943 cominciò l’esodo degli italiani della Dalmazia che si protrasse per parecchi anni e fu pressoché totale.
A partire dall’autunno 1943, Zara viene bombardata per ben 54 volte dagli Alleati su indicazioni di Tito. La città fu rasa al suolo, venendo chiamata la Dresda italiana. Nel 1944 Zara fu occupata dai partigiani di Tito (che vi massacrarono molti civili e militari italiani) e successivamente annessa alla Jugoslavia. L’esodo dalla città fu pressoché totale, cancellando quasi totalmente il plurisecolare carattere italiano della città. I circa 20.000 italiani della città (che erano più del 90% della popolazione) furono ridotti nel 1947 a meno di un migliaio.
L’ultimo colpo alla presenza italiana avvenne nell’ottobre del 1953, quando le scuole italiane furono chiuse e gli allievi trasferiti, da un giorno per l’altro, nelle scuole croate. Si completò così quello che alcuni storici (come il francese Michel Roux) qualificarono come la pulizia etnica degli Italiani in Dalmazia, usando metodi simili a quelli del Manuale Cubrilovic contro gli Albanesi della Iugoslavia.
La Repubblica Socialista di Jugoslavia
Dopo la guerra venne costituita la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Quasi tutto il territorio della Dalmazia storica andò alla Croazia e solo le Bocche di Cattaro furono unite al Montenegro.
Se ti è piaciuta questa pagina
clicca su “mi piace“