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A pochi giorni di distanza dalla Giornata della Memoria si torna a parlare e a ricordare nuovamente degli orrori del nostro passato.


La Repubblica Italiana nel 2004, attraverso la «legge Menia» (dal nome del deputato triestino Roberto Menia), ha sancito e riconosciuto, il 10 Febbraio il Giorno del Ricordo (anniversario del trattato di Parigi), al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia vissuta da migliaia di italiani e delle moltissime vittime delle Foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani e dalmati nel secondo dopoguerra (Legge n. 92, del 30 marzo 2004, art. 1).


Oggi, a prescindere da qualsiasi polemica e scontro ideologico, questa giornata deve essere ricordata con la medesima importanza che viene attribuita alla Giornata della Memoria finché, anche questa pagina nera della storia contemporanea, per anni latente, non si perda nell’oblio della leggerezza umana.




Il dramma delle Foibe, per anni cancellato dalla memoria collettiva, assume oggi un’importanza unica in termini di formazione di una memoria che divenga condivisa al fine di tutelare il ricordo delle vittime di una tragedia mediante diari e testimonianze.
Non ci possiamo permettere oggi di non conoscere il nostro passato poiché il giorno del ricordo rappresenta qualcosa di molto più profondo del semplice impegno e della responsabilità politica. Rappresenta un dovere morale, una responsabilità sociale importante affinché la testimonianza degli errori del nostro passato possa rammentarci di non ripetere gli stessi passi.
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Un trauma culturale di tale livello è una sconfitta che accomuna tutti gli italiani come individui singoli che non sono stati in grado di reagire di fronte all’annullamento dell’uomo stesso nella propria individualità, del diritto alla vita, all’uguaglianza, alla diversità religiosa, ideologico-culturale e politica, alla democrazia, al senso di appartenenza alla Terra, alla Patria.
Le giovani generazioni sono al centro dell’attenzione in questa giornata ed una serie di iniziative sono previste al fine di sensibilizzare e diffondere la conoscenza di questi tragici eventi presso enti, istituti pubblici e scolastici valorizzando il patrimonio culturale, storico, letterario artistico dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate.
UNA SINTESI TREMENDA IN 10 PASSI
1. COSA SONO LE FOIBE
Le foibe tecnicamente sono le cavità naturali presenti sul Carso. Il nome (foiba) è un termine dialettale giuliano che deriva dal latino fovea (fossa, cava).


In due riprese, durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra furono il palcoscenico di sommarie esecuzioni quando i partigiani comunisti del maresciallo Tito vi gettarono migliaia di persone colpevoli di essere italiane, fasciste o contrarie al regime comunista. Da questi massacri deriva il termine infoibare.
2. COME AVVENIVANO LE ESECUZIONI
Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.
3. LE “DUE” FOIBE
Il fenomeno “foibe” è riferito fondamentalmente a due eventi distinti, con dinamiche e modalità diverse: il primo è successivo alla dissoluzione dell’autorità italiana con l’armistizio dell’8 settembre ’43 e riguardò principalmente l’Istria, il secondo è conseguenza della presa di potere da parte dei partigiani e dell’Esercito Popolare Jugoslavo nel maggio del ’45.
4. LE FOIBE ISTRIANE DEL ‘43
La prima ondata di violenza esplose dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali.
Con il crollo del regime i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone.
5. QUANTE PERSONE MORIRONO NELLE FOIBE
Le vittime delle foibe furono oltre 8.000, secondo alcune fonti 10.000, soprattutto ex fascisti, collaborazionisti e repubblichini, ma anche partigiani che non accettavano l’invasione Jugoslava e normali cittadini. Altre fonti ancora affermano che il numero degli infoibati e dei prigionieri di guerra morti nei lager di Tito fu molto superiore, raggiungendo il numero di 20mila persone. Si tratta di numeri difficili da confermare per il caos che regnò nel 1945 dopo la fine della guerra e sui quali manca ancora un giudizio storico obiettivo.
6. LE TERRE CONTESE
Dopo la I guerra mondiale, dal 1918 al 1943, la Venezia Giulia e la Dalmazia furono amministrativamente italiane, ma oltre la metà della loro popolazione era composta da sloveni e croati.


Durante il fascismo l’italianizzazione venne perseguita seguendo, nelle intenzioni, il modello francese (attraverso una serie di provvedimenti come l’italianizzazione della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingui); nei fatti, il modello fascista.
La repressione divenne più crudele durante la guerra, quando ai pestaggi dei fascisti si sostituirono le deportazioni nei campi di concentramento nazisti e le fucilazioni dei partigiani Jugoslavi da parte dei nazisti.
7. I MOTIVI DELLA VIOLENZA
Alla base di tanta violenza ci sono stati soprattutto:
– una strategia mirata a colpire gli italiani e chiunque si opponesse all’annessione delle terre contese alla “nuova” Jugoslavia;
– la rivalsa per le passate atrocità nazifasciste;
– i regolamenti di conti personali (spesso anche legate alle differenti origini) e
– la volontà di attuare una rivoluzione comunista includendo Trieste nella Jugoslavia socialista.
«Nell’insurrezione i connotati etnici e politici erano uniti a quelli sociali: bersaglio delle retate divennero anche i possidenti italiani, vittime dell’antagonismo di classe che coloni e mezzadri croati avevano accumulato nei confronti dei proprietari italiani» spiega Gianni Oliva nel libro Foibe.
8. LA FINE (NON LA CHIAMEREMO “PACE”)
Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. A decidere la loro sorte furono i rappresentanti dei vincitori della seconda guerra mondiale che si riunirono (vedi foto) nel 1946 sempre a Parigi.
Il trattato di pace consegnò alla Jugoslavia l’Istria, Fiume, Zara e le isole dalmate, con il diritto di Belgrado di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, che avrebbero dovuto essere indennizzati dal governo di Roma.
9. L’ESODO
I nuovi confini furono la causa dell’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che fuggirono a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche masserizie che potevano portare con sé.
La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo cercando una nuova patria: chi in Sud America, chi in Australia, chi in Canada, chi negli Stati Uniti. Ma tanti riuscirono a sistemarsi – faticosamente – in Italia.
10. TRIESTE ITALIANA
Solo nell’ottobre del 1954 l’Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l’Istria all’amministrazione Jugoslava. Dopo la guerra, infatti, Trieste e il suo circondario erano diventati un Territorio Libero, amministrato dalla comunità internazionale e dalla Jugoslavia. Il 26 ottobre 1954 la città cessò di essere territorio internazionale e tornò a fare parte dell’Italia.
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